Federico Gardella
ELSE
Opera in un atto
Libretto di Cecilia Ligorio da “Fräulein Else” di Arthur Schnitzler
(Commissione della Fondazione Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano)
Montepulciano, Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, Teatro Poliziano, 31 luglio-1agosto 2021
Reggio Emilia, Fondazione I Teatri, Festival Aperto, Teatro Ariosto, 8 e 10 ottobre 2021
Maria Eleonora Caminada (Else), soprano
Alda Caiello (Cissy/Madre/Voce 1), contralto
Leonardo Cortellazzi (Paul/Voce 2), tenore
Michele Gianquinto (Dorsday/Voce 3), basso
Ensemble Risognanze
dir.: Tito Ceccherini, direttore
Cecilia Ligorio, regia
Domenico Franchi, scene e costumi
«Incontrai per la prima volta Fräulein Else molti anni fa, d’estate. Più giovane della protagonista (forse anche più inesperto) mi colpì il “suono” della novella di Schnitzler: si trattava, me ne accorgo adesso, del mondo interiore di Else che aveva, appunto, un suo suono. Non ci pensai più. Altre storie attendevano una conclusione, altri suoni aspettavano di essere scritti. Ma quando (qualche anno dopo) mi ritrovai nuovamente tra quelle pagine, capii che era arrivato il momento di dedicarmi a quel suono. Nacque così l’idea di quest’opera, Else. Ma più rileggevo la novella, più mi rendevo conto che quel suono era, in realtà, una moltitudine di suoni, era una polifonia: il suono (esterno) del mondo esteriore, il suono (interno) della protagonista e, infine, il suono del Carnaval (che osserva il compiersi di un destino individuale, ma che riguarda ognuno di noi). Il Carnaval di Schumann, appunto: nella novella di Schnitzler compare solo nelle ultime pagine, ma quale “voce” attribuirgli nell’opera? La presenza di questa musica, di questo suono tra i suoni, si è imposta fin dal principio come un “iceberg”, come un elemento imprevedibile contro cui, inevitabilmente, la vicenda umana della protagonista non può che infrangersi. E poi gli strumenti. Mi sono chiesto quale potesse essere il loro ruolo in un’opera abitata da presenze (alcune reali, altre surreali). Il suono strumentale, il luogo dell’astrazione (in questo teatro dell’oscuro) rappresenta il tempo che scorre, in apparenza indifferente a una narrazione fatta di voci e di parole. Ma non si tratta, qui, di un tempo cronologico: l’indifferenza è solo apparente – in un certo senso temuta, desiderata – perché il tempo si flette (come in uno specchio convesso), il suono si trasforma, mentre sulla scena i personaggi esibiscono i segni di questo tempo che li attraversa. Ma tutto, nella novella di Schnitzler, ruota attorno a Else: la stessa tecnica narrativa, il monologo interiore, ci accompagna nella sua mente, alla continua ricerca di un punto di equilibrio che sembra allontanarsi a ogni capoverso. Nell’opera i personaggi che abitano il mondo esteriore della protagonista (la madre, il cugino Paul, Cissy Mohr e Dorsday) trovano un proprio “doppio” nel suo universo interiore, fatto di bisbigli e grida, di taciute speranze e paure inconfessabili: prende corpo così la presenza di tre “voci”, tre apparizioni mostruose e perturbanti da cui Else non potrà liberarsi. La questione della “voce” diventa, dunque, centrale (e come potrebbe non esserlo, in un’opera): quella voce che non è solo canto, ma anche parola, risata, urlo. La storia di Else è, in effetti, la storia di un precipizio in cui ognuno dei personaggi è, a suo modo, complice. La musica disegna questo precipizio, scolpisce questo strapiombo: così l’opera si chiude con un “lamento”, un lento addio al mondo che ci invita a riflettere sulle nostre fragilità, chiedendoci di proteggerle come si protegge un bene prezioso».
Federico Gardella